L’Analisi Transazionale: come nasce e si sviluppa 

 

Alla fine degli anni ’50 in San Francisco   Eric Berne (1910-1970) dà sviluppo all’Analisi Transazionale, proponendo la sua posizione divergente da alcune teorie psicoanalitiche come un’occasione sia per promuovere originali stimoli di riflessione all’interno della psicoanalisi classica sia per elaborare un nuovo modello teorico sul funzionamento psichico e   sulla psichiatria sociale.

La formazione di psichiatra e psicoanalista, iniziata con P. Federn e proseguita con E. Erikson, conduce Berne ad affrontare le aree tematiche dell’identità, delle dinamiche evolutive, dell’intuizione e della consapevolezza, integrando in modo creativo alcuni costrutti della psicologia dell’Io e della psicoanalisi.

La sua teoria sul funzionamento psichico prende il nome di teoria degli Stati dell’Io (Genitore, Adulto, Bambino), che nel ’61 Berne descrive come “stati della mente” e corrispondono al modo di sentire, pensare e agire della persona: la dimensione comportamentale, fenomenica, quindi osservabile, correla alla dimensione fenomenologica e contribuisce a delineare la struttura di personalità.  

Berne assume i costrutti di ‘stroke’ (‘carezza’ o unità di riconoscimento nella relazione) e di ‘fame’ di stimolo, riconoscimento e struttura come predisposizione innata alla relazione e sottolinea il concetto di ‘potere’, che il bambino esercita già a livello psicobiologico nella relazione con la figura di accudimento (Berne, 1961, 1964), mostrando segni di anticipazione  rispetto agli studi attuali di regolazione emotiva   (Tronick E. Z., 1989; Sroufe L. A.,1995) e psiconeurobiologia (Siegel D., 2017). Berne attribuisce al bisogno di ‘riconoscimento’ e di ‘appartenenza alla relazione’ un ruolo motivazionale essenziale nel funzionamento della mente. In Ciao…e poi (1964) il costrutto di ‘stroke’ viene ampliato ed esteso come organizzatore della vita mentale e come traccia mnestica non conscia degli eventi interpersonali e dei vissuti intrapsichici nella relazione primaria. La memoria implicita corporea delle prime esperienze di attaccamento vissute nella relazione con il caregiver costituisce il nucleo originario del copione. Questo nucleo funziona come la matrice psicobiologica su cui la persona costruirà nei primi anni di vita il copione, definito da Berne “…un adattamento di reazioni ed esperienze infantili…un tentativo di ripetere un intero dramma transferale, spesso suddiviso in atti, esattamente come i copioni teatrali, che sono dei prodotti artistici intuitivi dei drammi primitivi dell’infanzia.” (Berne, 1961, p.101).

Il sistema di psichiatria sociale proposto da Berne si basa sulle numerose esperienze di psicoterapia di gruppo con militari negli anni della guerra e sull’osservazione della comunicazione interpersonale (teoria delle transazioni) e delle dinamiche conflittuali (teoria dei giochi) in diversi contesti.   La psichiatria sociale berniana studia le interazioni verbali e non verbali (dette appunto transazioni) che costituiscono la trama interpersonale, per lo più non consapevole in continuo divenire, e strettamente connessa non solo ai cambiamenti dei processi intrapsichici ma anche alle trasformazioni antropologiche, legate alle variabili socioculturali ed economico-politiche.  Sia nei gruppi istituzionali, organizzativi, educativi, sociali che in quelli clinici la persona tende a “saggiare attraverso i giochi e i passatempi l’attitudine degli altri membri a sostenere le parti del suo copione” (Berne, ibidem).

 Il gruppo è un tema che Berne approfondisce in termini di identità e confini del gruppo, dinamiche della comunicazione e della relazione tra individuo, gruppo e contesto, lasciandoci   preziosi spunti da sviluppare sull’uso della metodologia nei processi del gruppo (Berne, 1963, 1966). 

Noti sono i Seminari di San Francisco, nati dalla proposta di Berne di incontri settimanali   condotti insieme a Steiner all’interno dell’Ospedale Mount Zion di San Francisco, rivolti a clinici, infermieri e specializzandi. La richiesta di partecipazione diventa così alta in breve tempo che Berne decide nel febbraio del ‘58 di spostare nel suo studio privato gli incontri, diventati incompatibili con le esigenze organizzative della struttura ospedaliera. Questi incontri settimanali diventano il ‘contenitore’ di approfondimenti teorici, clinici e culturali in senso lato tra medici, tirocinanti e operatori nella relazione di aiuto. È il punto di inizio che genera nel tempo non solo la prima formulazione della teoria analitico transazionale (Berne, 1963), ma anche un esempio di un nuovo modus operandi in ambito epistemologico: fare largo a nuove domande sulla psicoanalisi classica, portando avanti un percorso di ricerca in diversi ambiti del sapere, in contatto con il ‘sentimento della complessità’ (Morin, 2001).   

La teoria e le tecniche di intervento dell’Analisi Transazionale vertono su quattro campi di applicazione, la psicoterapia, l’area educativa, il counselling e l’area organizzativa, definiti rispettivamente in termini di obiettivi e abilità specifiche professionali all’interno dell’EATA Training and Examination Handbook (www.eatanews.org). In sintesi nel campo della psicoterapia l’attività dell’analista transazionale è focalizzata a rendere esplicite le parti silenti e inibite della relazione con il cliente, attraverso la co-creazione di scenari trasformativi rispetto ai ripetitivi pattern copionali. L’analista transazionale del campo educativo si occupa di facilitare i processi di apprendimento nei sistemi scolastici, familiari, istituzionali e sociali con bambini, adolescenti, adulti e persone della terza età. L’identità professionale del counsellor analitico transazionale è incentrata sulla capacità di   valorizzare le risorse e aumentare la consapevolezza e autonomia del cliente nei processi di problem-solving e sviluppo personale all’interno del contesto sociale, professionale e culturale. L’attività dell’analista transazionale del campo organizzativo è orientata alla promozione e sviluppo delle persone che operano all’interno delle organizzazioni e, in termini berniani, è volta a favorire “l’autonomia, l’efficacia e le capacità di sviluppo” delle organizzazioni stesse.

Punti chiave della metodologia berniana, trasversali ai quattro campi di applicazione, sono quelli della ‘contrattualità’ della relazione e del setting, definito nelle coordinate spaziali e temporali, e della gestione della comunicazione transferale-controtransferale. In particolare la relazione con il cliente non è orientata a uno “scavo archeologico” – benché la dimensione storico-evolutiva sia una sua parte essenziale –  ma è orientata a reintegrare gli Stati dell’Io e alla loro riorganizzazione. Ciò consente di generare nuovi significati su di sé, l’altro e la relazione e pertanto di produrre, creare e attribuire un nuovo senso alla propria vita.  In generale in ciascun campo di applicazione, con la dovuta attenzione alle rispettive specificità, la metodologia berniana stimola la persona a riscrivere la propria storia e a modificarne il senso: è questo il processo di ristrutturazione del Sé, inteso da Berne come processo di consapevolezza mentre la persona esperisce sé e la relazione con l’altro (1961).

La geniale riflessione di Berne si muove intorno ad un’idea, quella di physis, forza “evolutiva creatrice” – ispirandosi a Bergson – che informa la mente umana durante il suo percorso di crescita: il momento in cui si realizza il cambiamento (e quindi l’input per la ristrutturazione del Sé) è il momento in cui la persona ‘intuisce’ in modo diverso sé all’interno di un frammento della propria storia. È in questo preciso momento che la persona si apre alla percezione dell’immediato istante futuro sul piano biopsicoesistenziale, con una visione rigenerata rispetto alle relazioni, alla propria identità e appartenenza alla propria comunità.  

Di fondamentale importanza per Berne è l’intuizione come precursore dell’emozione: funzione psichica che avvia alla costruzione della relazione intersoggettiva e organizza il processo di consapevolezza.

 “L’intuizione è la conoscenza basata sull’esperienza…, senza che chi ‘intuisce’ riesca a spiegare esattamente a se stesso o agli altri come è pervenuto alle sue conclusioni…” (Berne,1949), ed è anche la funzione che percorre l’ambito delle possibilità (Schmid, 1991).

 In sintesi il consistente numero di approcci analitico transazionali rivelano non solo la flessibilità e potenzialità di espansione del paradigma berniano ma anche lo spessore della formazione e della professionalità dell’analista transazionale rispetto alla propria consistenza teorica e alla propria capacità euristica.

Ogni approccio metodologico A.T. coglie specifiche angolazioni della persona. Il riconoscimento di ciascuna di queste angolazioni consente di costruire una visione più ampia del cliente e dell’analista transazionale come persone, e della loro relazione. Come è utile selezionare l’approccio metodologico più funzionale per quel cliente in quel momento, secondo quanto suggerisce Berne nei suoi scritti, anche per l’analista transazionale è prezioso aderire all’ approccio analitico transazionale in accordo con il proprio stile professionale.  

(a cura di Antonella Fornaro)

 

Bibliografia

  • Berne E., 1949, Intuition I. La natura dell’intuizione. Psychiatric Quarterly, 23, 203-226.
  • Berne E., 1961, Analisi transazionale e psicoterapia. Un sistema di psichiatria sociale e individuale, Astrolabio, Roma, 1971.
  • Berne E., 1963, Organizational History of the San Francisco Social Psychiatry Seminars, Transactional Analysis Bulletin, 2, 6, 59-60
  • Berne E., 1964, Ciao! …e poi?.La psicologia del destino umano, Bompiani, Milano, 1979.
  • Berne E., 1966, Principi di terapia di gruppo, Astrolabio, Roma, 1986.
  • EATA Training and Examination Handbook (eatanews.org )
  • Morin E., 2001, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, Milano.
  • Schmid B., 1991, Intuition of the possible and transactional creations of reality, Transactional Analysis Journal, 21, 3.
  • Siegel D., 2017, I misteri della mente. Viaggio al centro dell’uomo, Cortina, Milano.
  • Sroufe L. A. ,1995, trad. it. Lo sviluppo delle emozioni, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
  • Tronick E. Z., 1989, Le emozioni e la comunicazione affettiva nelle prime relazioni, trad. it. in Riva Crugnola, C. (a cura di), 1999, La comunicazione affettiva tra il bambino e i suoi partner, Raffaello Cortina, Milano.